10 autori
8 mostre
6 spazi espositivi
3 eventi speciali
Il 10, 11, 12, 17, 18 e 19 settembre a Capo di Ponte torna SEGNI, Festival della Fotografia, ormai giunto alla sua 7a edizione.
Per saperne di più abbiamo intervistato Graziano Filippini, tra i fondatori e direttore artistico della rassegna insieme a Veronica Marioli.
Una rassegna che non si è mai fermata, nemmeno nel 2020, e che da sempre si pone l’obiettivo di realizzare iniziative legate alla fotografia, allo scopo di fornire argomenti di confronto ai tanti appassionati e al contempo di avvicinare il più vasto pubblico a questo tema. Una sorta di “resistenza” culturale che nasce dall’importanza di costruire e, cosa ancor più difficile di questi tempi, mantenere un dialogo critico e consapevole, allargando gli orizzonti a mondi “altri” – siano essi paesaggi, ritratti, foto di guerra o reportages – nel tentativo di eludere il facile meccanismo di riconoscere solo ciò che è uniformato all’esperienza personale di ciascuno.
Per saperne di più abbiamo intervistato Graziano Filippini, tra gli ideatori e fondatori della rassegna, e anche co-direttore artistico insieme a Veronica Marioli.
Il Festival quest’anno compie 7 anni. Ci puoi fare un riassunto delle puntate precedenti?
Il festival nasce nel 2015 da una mia idea: quella di portare in Valle Camonica la bella fotografia e di far conoscere fotografi, camuni e non, bravi ma con poca visibilità. Ne ho parlato con Segio Turetti (il direttore dell’Agenzia Turistico Culturale di Capo di Ponte, ndr), che ne è rimasto entusiasta. Fin da subito anche Veronica Marioli è stata al mio fianco, e insieme abbiamo creato questa sorta di “armata brancaleone” che poi ha gestito, creato e organizzato tutte le altre edizioni. Negli anni ci siamo affinati, sia nella scelta degli autori, sia nel format del festival, rimanendo comunque fermi nella convinzione di dare visibilità a dei bravi fotografi.
Voi non vi siete mai fermati, nemmeno nel terribile 2020. Il che rende la nuova edizione del festival, più che un ritorno, una vera e propria eroica resistenza culturale. Come vivete, come festival, questi “nuovi” tempi?
Nonostante tutte le difficoltà, questi nuovi tempi ci hanno invogliato a fare un’edizione del festival “con il botto”, come la chiamo io. Anche perché credo che dopo la pandemia abbiamo tutti voglia di iniziare a vivere di nuovo.
Una delle cose più belle di questa edizione è che tornerete a fare di Capo di Ponte il vostro spazio espositivo diffuso. Perché un paese come questo si presta tanto bene a ospitare i vostri “Segni”?
Credo che la scelta di Capo di Ponte come sede di un festival della Fotografia sia quanto mai azzeccata: le incisioni rupestri, come la Fotografia, sono stati un modo per lasciare dei segni tangibili della storia dell’uomo e della natura tutta.
Il programma lo abbiamo tutti a disposizione grazie al vostro sito ufficiale, ma da direttore del festival potresti raccontarci il punto di forza e il segno inconfondibile che ogni autore presente in questa edizione porta con sé?
Partiamo con quelli più famosi, com Ugo Panella, fotografo di reportage che ci presenta una mostra sulla condizione dei manicomi: la sua è una fotografia cruda, vera, senza filtri. Un pugno nello stomaco. Un altro è Giovanni Mereghetti, che unisce la fotografia più cruda alla poesia: riesce nel non facile intento di fondere la bellezza della fotografia artistica con la foto di reportage. Abbiamo poi due grandi autori della fotografia di viaggio: Enrico Martino, che riesce a farci sognare abbinando la fotografia al racconto, e Patrizia Wyss, con una fotografia originale improntata sui colori forti, sempre alla ricerca del sorriso di un bambino. Anna Celani e la camuna Franca Depari con la loro fotografia contaminata dalla pittura riescono a creare opere di pregio: una, la Depari, con dei collage a cavallo tra pittori come Modigliani e la fotografia dei nostri tempi; l’altra, Celani, certamente più inquieta e portata a una continua ricerca anche di se stessa. Un’altra donna, ancora una volta camuna, è Costanza Zanardini, anche lei fotografa non professionista, ma con una grande sensibilità è riuscita a raccontare le donne affette da tumore al seno, a scavare dentro i loro volti trovandovi una luce. Anche Eros Mauroner è un autore molto attento molto attento al sociale che con la sua fotografia indubbiamente artistica ma efficace denuncia la poca attenzione verso le persone fragili; le sue stampe su velina, buttate ad asciugare su un supporto in cartone, riescono bene a descrivere la fragile esistenza delle persone. Infine c’è Cipriano Foi, un fotografo camuno dei primi anni del secolo scorso, forse il migliore in zona per tecnica creativa: quasi un alchimista che è riuscito a creare dei ritratti femminili belli e significativi quanto, se non di più, di quelli di autorei certamente più celebrati.
Oltre alle mostre, alle inaugurazioni e alle presentazioni, quest’anno ci saranno due eventi speciali – la degustazione con l’autore Enrico Martino e il foto racconto di Ugo Panella degli ultimi 20 anni in Afghanistan, più una iniziativa con Ismaele Bulla che permetterà ai visitatori che lo vorranno di diventare i soggetti della prima mostra di Segni dell’edizione 2022. Ce li puoi raccontare meglio?
Ismaele Bulla ha proposto nel 2019, di sua iniziativa, questo progetto che quest’anno ritorna con l’intento di raccogliere i ritratti dei visitaori del festival per farne poi una mostra da presentare alla prossima edizione di SEGNI e, al contempo, raccogliere un po’ di fondi a sostegno della manifestazione.
Per quanto riguarda Enrico Martino – grande e immancabile amico del festival – abbiamo deciso di sfruttare le sue doti di grande affabulatore per farci raccontare i viaggi fotografici che ha fatto in giro per (quasi) tutto il mondo, abbinando l’esperienza a un conviviale assaggio di vini camuni.
Con Ugo Panella la questione è stata piu’ complessa e delicata: nelle intenzioni originali nella serata dell’11 settembre avremmo dovuto organizzare con lui una diretta da Kabul, dove avrebbe raccontato il passaggio di consegne ai talebani, ma poi tutto è crollato rapidamente e non si è più potuto organizzare voli o visti… Cosi abbiamo deciso di farci raccontare dal vivo cosa sta veramente accadendo in Afghanistan, un territorio che Panella ha visitato molte volte e conosce benissimo.
Una delle cose belle del vostro festival è che ci sono autori navigati e popolari insieme a sguardi nuovi tutti da scoprire, esperienze internazionali unite ad artisti locali che hanno tantissimo da dire, e voi date loro l’opportunità di farlo. La sensazione per chi visita le vostre iniziative è di venire in contatto con tanti universi e sensibilità preziose. Una sensazione di straordinaria e inaspettata ricchezza. Come ci riuscite?
Vero, questo è il punto di forza del nostro festival. Riuscirci non è facile ma ci aiutano tanto i nostri fotografi famosi, perché quando li scegliamo evitiamo quelle che “fanno le star”, cioè quelli che vogliono tutta l’attenzione su di sé. A loro preferiamo di gran lunga fotografi più empatici e umani, che con grande umiltà approvano questo nostro stile a tal punto da diventare degli amici. Amici preziosi che negli anni continuano a sostenerne il format e il festival.
L’ultima domanda è dedicata a chi sta sempre dietro le quinte e di cui non si parla mai: il gruppo di lavoro di una rassegna culturale. Ci racconti un po’ il gruppo che rende possibile SEGNI, e che ogni anno realizza un piccolo miracolo?
Siamo partiti, come ti dicevo, come “un’armata brancaleone” e ora siamo un gruppo affiatato e con degli incarichi ben precisi. Purtroppo siamo in pochi, ma alla fine il gruppo funziona perché nessuno si tira indietro: ad esempio, il direttore è secondo necessità anche attacchino, imbianchino, ecc ecc, e cosi anche tutti gli altri.